Riflessioni

Turing reverse, ovvero domande sull’essenza dell'universo

 

Simultaneità: elastici (stringhe?) che legano i corpi – lo specchio è simultaneo? – la luce riflessa da uno specchio è la stessa che vi è entrata? Ed è solo luce? – Il Grande Vecchio non gioca a dadi con l’universo –

Tutto è connesso con tutto – velocità della luce = massima estendibilità stringa? – libertà della particella –

Legame gravitazionale, energetico (se stanno in relazione di equilibrio c’è un legame, questo esiste comunque come caratteristica dell’esistenza?) – Big bang tutto era legato intensamente – la rarefazione dei legami ha dato origine all’universo? – legami elastici – ogni particella è un mattone dell’universo se cambia cambia tutto per simultaneità non per velocità (solo per gli effetti vale velocità) – il tempo è simultaneo non sequenziale la velocità ne sfalsa la lettura a distanza –

 

Il tempo-spazio diverso da spazio-tempo. Tempo parallelo

Correlazioni,  connessioni , interconnessioni

Lente tempospaziale non solo ottica

Perché decade ( se decade)?

Materia primordiale campo gravitazionale infinito? Il tempo non npoteva “scorrere”, quindi non c’era, lo spazio (come distanza tra corpi). Solo forza di coesione, un grande atomo di atomi: l’Uno (lo zero prima, lo zero dopo).

Evouzione funzione espansiva del tempo. Involuzione funzione contraria.

Nell’Uno T=0, S=0, Coesione tendente a infinito. 0=infinito=vuoto= non essere.

0 omologa – 1 specifica

Esiste una forza di specificazione? Un’energia specificante? La biodiversità la presupporrebbe.

Quindi l’evoluzione non sarebbe solo adattamento al mutare delle condizioni?

La forza di specificazione spiegherebbe la libertà delle particelle?

Una conferma dal fatto che il protosincrotrone genera sempre nuove particelle? Che però decadono per una qualche ragione che viola le leggi di specificazione?

I cristalli si specificano.

I numeri si specificano come uno diverso dall’altro. Ad eccezione dello zero che è assenza di specificazione.

Ed in alcuni casi è anzi despecificante. Come invece i numeri primi sono iperspecificanti (essenza della specificazione?)

E se è vero che due è composto da due volte uno che sono entità uguali solo in astratto, nella realtà una mela è diversa da un bosone, da una molecolola di acqua, da un ago di pino. E due mele uguali o due aghi di pino o due bosoni non esistono (se non clonati?)

Tutti gli uno sono uguali ma il loro specificante è diverso.

Il tempo ha una funzione specificante. Lo spazio no?

Il tempo-spazio è anche specificante. La specificazione è una forza? Una qualità della materia, una pulsione o attitudine potenziale, come nelle cellule totipotenti?

La realtà è specificazione anche a livello di molecole, di atomi, di particelle.

Tale forza si oppone a quella di despecificazione, reagendo ad esempio alle misurazioni despecificanti.

Dallo zero all’uno, al molteplice, fino al confine della specificazione che è quello dell’ultimo numero mentre si determina e prima che si determini il successivo, sul confine della realtà e dell’universo, sul confine delle grandezze che tende all’infinito ossia allo zero uniforme che sta oltre l’infinito.

Le produzioni seriali  umane sono la sola cosa despecificante pur nella loro specificità. Ma la serialità è rara nella realtà.

Come e quanto agisce questa forza? Essa è la differenza dtra 0 e 1. E’ massima nei numeri primi che hanno un fattore di specificità pari alla quantità di uno che possono contenere essendo divisibili se non per se stessi. La divisibilità….

In ogni oggetto, naturale o artificiale c’è un quantum di specificazione. Come misurarlo e valutarne gli effetti combinati?

Zero all’infinito tende a 1, 1 all’infinito tende a 0.

 

Lo zero è totipotente, “non banale”, rappresenta l’inespresso, il non specificato, ogni possibilità latente. Contiene una forza di specificazione, un imprinting primordiale che farà sì che ad un certo punto del tempo-spazio vi sia una manifestazione, sotto forma di specificazione. Così dallo zero nasce l’uno.

Questa forza di specificazione (forza specificante) é una sorta di energia formatrice, agisce istantantaneamente in ogni direzione, è espansiva o coesiva, agisce dall’interno del manifestato affinché si specifichi in una forma,  si individualizzi in uno stato tempospaziale.

Lo zero assume così la funzione di vettore probabilistico. Non ha massa, non ha energia, non ha uno stato, è omologante nel senso che ogni possibilità ha lo stesso numero di probabilità di manifestarsi.

Eppure c’è in esso una spinta, un impulso generatore o meglio formatore.

Questo zero era prima del Big Bang, il suo impulso, per lento accumulo, attraverso modalità captative, per coagulo del vuoto e del nulla, per contrazioni tempospaziali, ha generato le immani forze e le masse primordiali. Il primo Uno. Questo aveva una forza specificante immane, tanto da conferire l’impulso a plasmare e a dare identità all’intero universo. E questo impulso si conserva in tutte le cose, determinandole nella loro unicità. Questa forza è nelle cose, accoppiata indissolubilmente ad esse, una sorta di costituente di forma. Si manifesta nella violazione di forma. Come quando si scinde un atomo o si crea una labile particella con l’alta energia, labile perché fuori dalle forme contemplate nel novero delle possibilità incluse in zero. Così come si manifesta nella violazione di stato che si compie volendo osservare una particella.

E’ quindi nella transizione di forma che si incontra questa forza. O genera transizioni di forma o di forme, se disturbata.

L’uno è il primo specificante. Lo zero aggiunge possibilità. I numeri primi sono più specificati degli altri. Rompere la loro forma costa più sforzo. 1+0 è sempre uno, ma con potenzialità accresciute. Non è quindi lo stesso uno. E’ rafforzato nella sua forma, nella sua unicità.

All’inizio era il nulla, il vuoto, il non esistente, il non formato. Tutto era a zero. Anche le linee dello spazio e del tempo. Ma zero è contenitore e catalizzatore di possibilità. Esso specifica se stesso come tutto ciò che non è, compreso il tempo e lo spazio, che equivale a tutto ciò che potrebbe essere.

Estrarre possbilità dallo zero, questa è la storia. Zero + zero = zero, certo. Ma è anche la somma di due insiemi infiniti di possibilità. Zero elevato ad x è ancora zero, ma è anche il prodotto di insiemi infiniti di possibilità. Sull’orizzonte degli zeri che si replicano all’infinito si manifesta ad un tratto l’impulso formatore e zero non è più zero. Dividendo lo zero all’infinito si ottiene zero, ma si riducono nel contempo le possibilità in esso contenute, fino alla infinitesima, e si annulla così la realtà.

Dicembre 2010

Ipotesi sull’indeterminatezza di un “ultimo insieme” o insieme delle “grandezze varianti”

 

 

“Sull’estremo orizzonte si scorge il cambiamento”

 

 

1+2+3+4=10 = 1,2,3,4,n,0

 

Se ad un anno dal “Big bang” l’universo era grande un anno luce in ogni sua direzione, in quel preciso istante un retta non poteva essere più grande, né giacere su un piano maggiore o infinito.

Da allora, la lunghezza di questa ipotetica retta fatta di luce si è accresciuta, di attimo luce in attimo luce, in una interminabile corsa verso un soltanto teorico infinito.

Quella retta ipotetica oggi sarebbe lunga quanto l’intero universo e sfuggirebbe ad ogni misurazione certa, essendo i suoi estremi in continuo divenire, sia che l’universo si espanda, sia che si contragga.

 

Ne discende che quella retta lunga un anno luce, nell’esatto istante del suo “compleanno”, era costituita da un numero finito di punti “fotonici”, enumerabili attraverso un numero finito (ancorché grandissimo), non essendo, in quel preciso attimo concepibile o esprimibile un numero più grande. Ed anche segmentandola innumerevoli volte, arrivati a contare ogni singolo fotone, si sarebbe passati, poi, ad enumerare il vuoto.

E’ un po’ come con la televisione: essa può contenere tutte le immagini della realtà visibile, ma non ne può contenere una sola in più di quanto consenta la matrice del suo schermo.

 

Ma cosa accade agli estremi? Quali fenomeni si potrebbero osservare – posto che l’osservazione stessa non ne alterasse l’andamento - sul punto di espansione?

Vedremmo la luce che crea lo spazio? Ci imbatteremmo in nuvole di particelle subatomiche in procinto di specificarsi – come mattoni “totipotenti” dell’universo o nelle stesse apparenti “bizzarrie” della meccanica quantistica?

Che sia quello il luogo dove si unificano le forze e dove l’energia è una?

Potremmo osservare la nascita di nuove grandezze e la correlata espansione dei numeri in grado di descriverle?

Per altri versi, proprio la meccanica quantistica, che indaga sugli estremi della retta ci suggerisce che sugli estremi le regole sono diverse.

 

Se davvero fosse concepibile – se potesse mai esistere - una grandezza superiore a tutto ciò che é, allora potremmo misurare l’inesistente, definire gli attributi del non essere, ma questa sarebbe una contraddizione in termini, non dissimile dall’utilizzare il concetto di infinito.

D’altro canto, per generare iperboliche sequenze di cifre è sufficiente attribuire un grande esponente ad un grande numero, ma questo attribuisce la dignità di numero a quella sequenza?

Che il voler concepire e manipolare l’infinito non sia solo un atto di estrema arroganza dell’uomo che porta solo a smarrirsi tra infiniti infiniti?

 

Se, quindi, non è concepibile una retta infinita – se non attraverso un’”equazione teologica” -  deve esistere sul suo estremo, costantemente variabile, un “ultimo insieme” ricomprendente le condizioni di variabilità e diverso da tutti gli insiemi che descrivono le condizioni della retta quale è andata determinandosi nella sua espansione.

 

Le stesse considerazioni dovrebbero valere per l’”ultimo numero” nel suo formarsi.

Che sia questa la ragione intima della casualità dei numeri primi?

Che rappresentino le tracce di momenti espansivi topici?

L’ultimo numero primo sta, forse, formandosi adesso ai confini dello spazio e del tempo.

Se così fosse non varierebbe il numero dei primi o la loro distribuzione sul piano dell’esistente, ma nessuno potrebbe prevedere il frutto dell’esistente in formazione.

 

Se il destino dell’universo dovesse essere quello di espandersi in perpetuo allora - e solo allora – il loro numero tenderebbe all’infinito senza, tuttavia, mai raggiungerlo.

 

Nel “tutto che scorre”, nella mutevolezza del reale, molti ultimi insiemi sono immediatamente percepibili: quello costituito da tutti gli atomi dell’universo mentre decadono o stanno formandosi, quello che contiene l’energia sprigionata dalle stelle mentre si sprigiona, quello che ricomprende tutti gli esseri viventi mentre muoiono o si affacciano alla vita, delle cellule mentre si rinnovano. E’ percepibile persino l’ultimo insieme di un Pil.

Ve ne sono altri solo arditamente ipotizzabili: l’ultimo insieme dei pensieri o delle idee mentre vanno formandosi, della conoscenza che si acquisisce, del formarsi della coscienza e dei sogni.

 

In tale ipotesi, ad E=mc2 occorrerebbe aggiungere l’ultimo insieme contenente la variabilità della massa e, quindi, dell’energia dell’universo o è lo stesso incremento di massa il suo solo contenuto, il solo fattore in gioco? Al di là di quella massa che si sposta ad una velocità prossima alla luce non vi sono effetti prodotti? E se quella massa si muovesse esattamente sul confine dell’universo questo ne risulterebbe allargato a detrimento dell’incremento di massa?

E ancora: esisterebbe anche un ultimo ”orizzonte degli eventi”, per dirla con Hawking?

 

E se nella teoria dei numeri lo 0 rappresenta la non quantità, l’inesistente, l’increato o il non specificato – quasi una metafora di ciò che era, o meglio non era, prima dell’inizio dello spazio-tempo – non è ragionevole pensare che alla fine dei numeri vi sia un altro 0 a rappresentare il non ancora creato, la dimensione del possibile che ancora non è?

In questa prospettiva, assumerebbe un senso nuovo e intrigante la “tetrakis” di Pitagora (l’1+2+3+4=10): dopo l’uno che rappresenta l’esistente vi sarebbe lo zero di ciò che deve ancora accadere.

E la “retta magica” di Riemann potrebbe continuare a mantenersi indefinitamente sul valore di ½ o dovrebbe tendere a spostarsi verso 0? Gli ultimi zeri del suo paesaggio comincerebbero a cadere fuori da una retta costretta a tendere da ½ a 0 o ne sarebbero “magicamente” attratti comunque?

E all’intermo dell’ultimo insieme dei numeri, contraddistinto da 0 – dove “la natura lancia la sua moneta” – si potrà mai guardare?

Aprile 2008